Guardo fuori dalla finestra quelle poche, sparute gocce di pioggia che stentano a bagnare e a far rivivere i fiori sul mio terrazzo, dopo mesi di siccità totale, mentre bevo il terzo caffè della giornata.
E penso.
Penso a così tante cose, che sento il calore salirmi dal petto sino alla testa.

Penso, ad esempio, al fatto che nessuno di noi riesce a ricordare il momento in cui è venuto al mondo, non ci è dato ricordare l’istante della nostra nascita.
Si nasce, si cresce e ci si trova catapultati nella vita così, che ci accoglie con tutte le sue regole, i suoi divieti, le sue tortuose vie da percorrere.

Ma noi, crediamo davvero di essere gli stessi di quel momento lì, quel momento in cui siamo venuti al mondo ed abbiamo emesso il primo vagito?

Sorseggio il caffè, e scuoto da sola la testa, pensando che in realtà la vita è una continua rinascita.

Ogni volta che la nostra quotidianità viene sconvolta da un nuovo evento, è un po’ come se anche noi rinascessimo con esso.
Ci si deve reinventare, riequilibrare, ricentrare per poter continuare.

“Ogni volta che un bambino nasce, nascono anche una mamma ed un papà”. E’ un pensiero che mi è sempre piaciuto molto, un augurio che si scrive sui bigliettini quando nasce un bimbo.

Quanto è vera, questa affermazione!

Ed ecco, sì, io – come tutte le mamme del mondo – sono effettivamente ri-nata insieme ai miei figli. E’ nata la parte di me che non conoscevo.

Tuttavia, è con la nascita di un figlio disabile che una donna nasce realmente per la seconda volta.

Lo sconvolgimento è così totale, da resettare completamente ogni aspetto della propria vita.

Ci si ritrova spiazzate, proprio come quando si esce dal ventre materno, scaraventate fuori da quella placenta, da quel liquido amniotico fatto di sogni e di aspettative, e si piange, proprio come allora. Soltanto che qui, la “sculacciata” che le ostetriche danno ai nuovi nati, è davvero potente, tanto da farti cadere a terra e sbattere la testa con un tonfo ed un dolore sordi, intimi.

Benvenuta al mondo, mamma caregiver!

Tutto è da ripensare da zero, nessun manuale da seguire, bisogna imparare qualsiasi cosa, proprio come un bambino piccolo deve fare.

Bisogna imparare a camminare, al passo con quel proprio figlio, lentamente, tenendolo per mano, aggrappandosi a lui, come fa un bimbo che muove i primi passi, affinché sia proprio lui ad insegnarci la strada da seguire.

Lui diventa il nostro insegnante, il nostro tutor, colui che ci insegnerà ogni cosa in questa nuova vita.

Bisogna imparare a parlare, o meglio, a comunicare, imparando spesso una nuova lingua, quella fatta con simboli ed immagini, quella dei gesti, quella ancor più importante degli sguardi.

E bisogna imparare a mangiare, velocemente, senza tempo, senza indugio, perché il nostro nuovo maestro non ci concede intervalli né ricreazioni.

Come un bimbo appena nato, poi, dobbiamo prepararci a trascorrere notti insonni, a giocare o vegliare.

Ma – e qui poso la tazza perché ho finito il mio caffè – insieme a tutte queste cose, penso che si rinasca anche nello spirito e soprattutto nell’amore. Quello spirito e quell’amore che crescono a tal punto e a dismisura che diventano incontenibili.

E si rinasce nella forza, nella capacità di adattamento, nella resilienza (questa parola tanto di moda adesso..).

Ha già smesso di piovere, ed il vento sta piegando le mie piantine ed i miei fiori sul terrazzo, che sembrano appena sbocciati.

Sento due manine che tentano di sfilarmi l’elastico con cui ho legato distrattamente i capelli stamattina. Lo riconosco anche senza girarmi, lui, il mio insegnante, mi sta chiamando a rapporto. Mi sta ricordando che mi sto concedendo troppi minuti di ricreazione.

 

Mi volto e mi prende per mano. Non so dove mi stia portando, ma di sicuro anche oggi avrò molto da imparare. Devo diventare grande. Sono piccola, ho ancora soltanto 12 anni, da quando sono ri-nata al mondo.

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