Seduta sulla tazza a far pipì, il mento appoggiato alla mano, osservo quella piccola macchiolina bianca sulla piastrella vicina alla finestra, e mi chiedo svogliatamente se sia o meno guano del pappagallino di Riccardo, Whisky.

Strano, mi dico, perché quel pappagallino è davvero educato e non sporca mai, nemmeno quando Ricky lo fa svolazzare per la casa.

Inizia così un’altra giornata, di un novembre che sembra settembre, col sole appena sorto che irradia la sua luce dorata sulle foglie, colora le colline d’intorno, passa attraverso la nebbiolina appoggiata sul fiume.

Oggi Riccardo non va a scuola, ma devo chiamare Giorgio e so, da 12 anni ormai, che appena si alza dal letto, appena mi corre incontro chiamandomi mamma per abbracciarmi felice, in quel momento lì, proprio mentre sta per iniziare per lui un buon giorno, io penso che il tempo per me è già bell’e finito.

Da quel momento, sino a quando tornerà dentro al suo letto nuovo e comodo, le mie antenne dovranno essere alzate, pronte ad intervenire, a dirgli tutti quei “no, non si fa!”, a rincorrerlo, a fermare i lampadari che lui adora far dondolare come fossero altalene, a raccogliere quello che lui butta per terra quando non gli piace più, a chiedere ad Alexa le solite canzoni ritmate, a suonare al pianoforte “Garibaldi fu ferito” e “Pippi Calzelunghe”, a fare goal col pallone di gommapiuma tra le sedie, a mettermi davanti alla dispensa per impedirgli di aprirla e dare in pasto al nostro labrador Bo, l’ennesimo pacco di croissants.

So che appena proverò a sedermi sul divano lui arriverà a chiedermi di fare con lui o per lui qualcosa d’altro.

So già tutto questo, oltre al fatto che devo prepararmi anch’io per andare in ufficio, ed allora ecco che, seduta su quella tazza io ci resterei tutto il giorno, perché mi sento già stanca, al solo pensiero del giorno che mi attende.

E nonostante tutti questi pensieri, sono felice e decido che sì, anche questa sarà una fantastica giornata.

Me lo ripeto da sempre, e cerco di ripeterlo anche a quelle persone che incontro e che si piangono addosso, questa è la nostra vita “adesso”, è qui che viviamo “ora”, e questa è l’unica possibilità che ci viene data per essere felici su questa terra. Non serve a nulla sprecare giorni, mesi, anni a piangersi addosso, perché quel tempo non ci verrà mai più restituito e rimpiangeremo in futuro di averlo trascorso nella tristezza e nella rabbia.

Da anni, ormai, questa è la mia filosofia di vita, il mio carpe diem personale, il mio hic et nunc di questo millennio.

Mentre mi lavo i denti, Giorgio arriva e si appoggia con entrambi i gomiti sul lavabo guardandomi da sotto, costringendomi a girarmi dall’altra parte per evitare di sputargli in faccia il dentifricio.

Lavo anche a lui denti e faccia (lui tira fuori sempre anche la lingua, per lavare anche quella).

Mentre mi pettino lui vuole la spazzola, e quando mi trucco (quel poco) lui ride, così come ride quando spruzzo il profumo e lui vuole entrare nella nuvola.

Mi vesto, e vesto anche lui, poi andiamo alla dispensa a prendere la brioche, che lui ormai mi chiede grazie alla comunicazione con gesti che sta imparando benissimo, e ci sediamo sul divano a mangiarla, condividendola con i due cani che non perdono nemmeno un pezzetto di quelli che Giorgio lancia loro ad minchiam (=dove vanno, vanno) – il nostro croissant-sharing – mentre alla televisione su YouTube passano video di gente che si tuffa, che nuota, che corre in bici, delfini che saltano fuori dall’acqua e l’Elettra che canta “Pistolero”.

Un bel bicchiere d’acqua, un giretto sulla sua macchinina, una suonatina di pianoforte, e finalmente siamo pronti per uscire dalla porta, catapultandoci letteralmente sul pianerottolo di casa, a chiamare l’ascensore, a fare piccoli urlettini per sentire l’eco della voce per le scale.

…E che sia un buongiorno anche oggi!

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