Mi alzo e come al solito mi dirigo come un automa verso il bagno, lavo faccia e mani e vado a fare colazione.

Fuori c’è molta nebbia e, finalmente, sembra novembre.

L’autunno – lo ripeto sempre – è la mia stagione del cuore, quella che più mi somiglia, colori stropicciati che si affollano su tappeti soffici di foglie, cieli tersi, vento fresco, tramonti ineguagliabili. Ma anche nuvole, pioggia sottile, e preludio a qualcosa di bello, al periodo dell’Avvento.

Ancora prima di qualunque altro pensiero, alle 6 del mattino, sorseggio il mio cappuccino, avvolgente, con la sua schiuma calda e morbida da leccarsi i baffi.

Quando all’improvviso, un lampo mi attraversa la mente.

“Ca**o, il Covid!”. (alzo gli occhi al cielo)

Fortunatamente non è il mio primo pensiero, anzi, di notte mi “resetto” e addirittura, me ne dimentico.

Ma più passano i minuti, più la mia coscienza si risveglia a questo giorno più freddo degli altri, ed in un attimo mi ricordo in quale momento storico e sociale ci troviamo tutti, tutto il mondo, rinchiuso ed imprigionato in questa globale pandemia, tra paura ed incertezza.

I miei pittoreschi sogni autunnali, si scontrano con questa assurda, buia realtà, ed inizio così la mia giornata, già con un lungo sospiro e col nervoso nella pancia.

Chiamo i bambini, mentre Marco porta a spasso i cani.

Capisco la loro non voglia di alzarsi, li capisco e basta.

Ma sono un genitore, una mamma per l’esattezza, l’essere umano a cui al mondo – in assoluto – viene chiesto e ci si aspetta di più, in ogni settore della vita, in ogni parte del globo, ed in maniera scontata. Sempre in prima fila, lodata, certo, ma intanto sempre lì, a tirar su il morale della baracca, anche quando c’è un terremoto in corso.

La mamma è una piccola orchestrina del Titanic, praticamente.

E non si molla.

“Bambini, dovete alzarvi!”

Alexa canta “Karaoke”, come sempre, la prima di un milione di altre volte in cui Giorgio durante il giorno me la chiederà.

Mi fanno pena, giuro.

Dovrei dire forse “tenerezza”, ma invece no, mi fanno proprio pena. Loro e tutti gli altri bambini, e ragazzini, che sono costretti a vivere questi mesi, che mai più nessuno restituirà loro, in questa condizione di pseudo-prigionia.

Ca**o, il covid! (e guardo i bambini che dormono abbracciati)

Riccardo si trascina a fare la sua solita colazione con le solite 4 macine nel the, per poi proseguire il suo struscio verso lo studio, dove accende il pc e lo sento pronunciare un triste “buongiorno, prof!”.

Che tristezza, la dad! Eppure, se non ci fosse, in questi mesi sarebbe stato anche peggio di così.

Penso a quando io entravo in classe, in terza media. La “terza” media, quella dei sogni, quella in cui capisci che stai diventando grande e che puoi permetterti di scegliere cosa vorrai fare un giorno, quando grande lo sarai davvero. La decisione circa la scuola superiore, l’emozione di terminare un ciclo per iniziarne un altro.

Poi guardo mio figlio, seduto, da solo, con i pantaloni del pigiama ed una felpa, pettinato bene come quando usciva con i suoi amici, ma in casa, davanti ad un pc, e mi viene un groppo in gola.

Giorgio no, lui ride.

Lo vedo sfrecciare sulla sua macchinina per la casa, all’inseguimento del nostro labrador, Bo.

Come sempre devo convincerlo a prepararsi, mentre lui fugge a cento all’ora su quel piccolo mezzo.

Lui ride, si diverte.

A volte essere inconsapevoli di molte cose, rende felici, evita di perdere la serenità.

Riesco ad acciuffarlo, lo lavo un po’, lo cambio e gli dico che deve andare al centro (sebbene ad orario ridotto) e poi al pomeriggio a scuola.

Spesso mi chiedo cosa pensi lui di tutta questa situazione.

Lui che era solito abbracciare le persone, prendere le mani degli altri, avvicinarsi per prendere baci sulla testa a profusione, chissà cosa pensa adesso, che siamo in giro tutti con le mascherine (lui la mette solo per guardarsi allo specchio), che le persone quando lo vedono arrivare verso di loro, spesso indietreggiano alzando le mani in segno di impotenza, adesso che i baci non li può più prendere, perché rimangono imbrigliati dietro a quei pezzi di stoffa, spesso inutili?

Lui che sorride sempre e che aspetta di essere ricambiato, ha dovuto imparare a percepire i sorrisi della gente dagli sguardi.

Cosa penserà dei banchi di scuola, così lontani, così distanti da quelle piccole isole felici ed inclusive in cui ci si ritrovava in classe a fare dei lavoretti in piccoli gruppi dai mille colori?

Una cosa che ha ben capito, tuttavia, è la faccenda delle mani: ogni volta che entra in casa o in qualsiasi altro luogo, si strofina le mani e mi guarda per chiedere il disinfettante.

Cosa penserà di tutti questi orari ridotti, dei pomeriggi sì, dei pomeriggi no a scuola, di suo fratello perennemente in pigiama che parla da solo davanti ad un computer?

Ca**o, il covid! (e scuoto la testa sconsolata)

Ma mantengo la calma, agitarsi non serve a nulla, Bo gli sta leccando la faccia mentre Giorgio si diverte.

Lo prendo per mano, gli infilo il giubbotto, lui vuole mettersi lo zainetto nuovo sulle spalle.

“Alexa, stop!” ed usciamo sul pianerottolo, dove come sempre lui inizia a “cantare” per sentire l’eco della sua voce correre sulla scala.

In fondo, non è cambiato nulla.

Per fortuna ci sei, mio piccolo gioppino.

Per fortuna ci sei tu, con la tua spensieratezza, nonostante tutto, con le tue risate, con la tua voglia di andare sempre verso gli altri, anche se questi adesso indietreggiano.

Che ne sai tu, di sto ca**o di covid?

E decido di affrontare il resto del giorno con dei bei pensieri. Anche oggi decido che voglio imparare da te.

 

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